A cura dell’avv. Riccardo Salomone

(Foro di Torino)

 

Cass. pen., Sez. VI, 13 febbraio 2017, n. 6664

 

Nella vicenda in esame, il difensore dell’imputata ha proposto ricorso per cas-sazione contro la sentenza con la quale la Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere a carico dell’imputata per i fatti precedenti al 2008 perché estinti per prescrizione e ha confermato, per il resto, la sentenza di condanna impugnata.
La F. è imputata del reato di cui agli artt. 40 e 348 c.p. perché, quale Consigliere Delegato responsabile del rispetto della normativa relativa alla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro presso una Casa di Riposo per anziani, aveva permesso che B. esercitasse abusivamente la professione di Infermiera, ed è stata condannata alla pena di 250,00 euro di multa.
Il primo motivo di ricorso contesta che le attività materialmente svolte dalla B. potessero essere considerate come tipiche della professione infermieristica, ma non sembra davvero dubbio che la somministrazione di farmaci, la misurazione dei pa-rametri vitali e l’effettuazione di iniezioni intramuscolo costituiscano in effetti atti tipici e caratterizzanti la professione di infermiere; in questa prospettiva argomenta-tiva, poi, la Corte ha specificamente sottolineato la circostanza che la B. era stata trovata dai NAS nell’esercizio effettivo e materiale di dette attività; d’altronde, le de-cisioni di legittimità riportate nel ricorso negano la sussistenza del reato, pur in pre-senza di attività tipiche della professione di infermiere, per assenza del requisito della continuità e professionalità.
Del resto, la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. trova applicazione, unitamente ad altre condizioni, quando il comportamento risulti non abituale, e l’abitualità ricorre, come risulta dal terzo comma, ultima parte, della norma in esame, “nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”.
Il reato di cui all’art. 348 c.p. richiede, per la realizzazione dell’elemento mate-riale, una condotta che si dipani con i necessari caratteri della ripetitività, della conti-nuità e professionalità o anche solo dell’eventuale abitualità, ma che si caratterizzi comunque per quella non singolarità e per quella pluralità di atti tipici che, rientrando sicuramente nel campo semantico e definitorio descritto nell’art. 131 bis, terzo comma, ultima parte, del codice penale, lo rendono di per sé incompatibile, nella sua stessa struttura oggettiva, con la causa di non punibilità di cui si è detto.
In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali.