A cura dell’avv. Riccardo Salomone (Foro di Torino).

In relazione ai problemi attinenti alla interessante – e non scontata – questione sul dubbio se l’infermiere sia qualificato nella raccolta e redazione dell’anamnesi pre-vaccinale e al dubbio se l’infermiere possa somministrare il vaccino senza che il medico sia presente nella stessa stanza, dal punto di vista penalistico è sufficiente richiamare i principi generali in tema di elemento psicologico del reato.

Si rammenta infatti che, ai sensi dell’art. 43, terzo alinea, c.p., il delitto è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità – che ha già avuto modo di individuare in capo all’infermiere delle responsabilità di tipo omissivo riconducibili ad una specifica posizione di garanzia nei confronti del paziente del tutto autonoma rispetto a quella del medico – ha ravvisato il fondamento di tale posizione di garanzia proprio nell’autonoma professionalità dell’infermiere che va oggi considerato non più “ausiliario del medico”, ma “professionista sanitario”: “attesa la separazione delle competenze tra medico e infermiere, non sussiste un obbligo a carico del primario a formare e a verificare le competenze del personale infermieristico. L’infermiere, infatti, non è ausiliario del medico, ma professionista sanitario e assume responsabilità di tipo omissivo riconducibili ad una specifica posizione di garanzia nei confronti del paziente del tutto autonoma rispetto a quella del medico” (Cass. pen., Sez. IV, n. 2541/2016).

Del resto, l’infermiere è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, avendo egli il dovere di attendere all’attività di somministrazione dei farmaci in modo non meccanicistico ma collaborativo con il personale medico orientato in termini critici, al fine non di sindacare l’operato del medico bensì per richiamarne l’attenzione su errori percepiti ovvero per condividere gli eventuali dubbi circa la congruità o la pertinenza della terapia stabilita (Cass. pen., Sez. IV, n. 2192/2015: in applicazione del principio, la Corte di cassazione ha confermato la sentenza di condanna per omicidio colposo dell’infermiere professionale, con funzioni di caposala, il quale aveva somministrato un anticoagulante benché dalla cartella clinica ne risultasse la chiara incompatibilità con l’allergia del paziente, della quale l’imputato era già ben a conoscenza per ragioni di servizio).

In conclusione, si perviene al medesimo parere espresso dalla dr.ssa Arreni: l’autonomia della figura professionale infermieristica si esprime in maniera talmente forte, da fare assumere (a chiunque ne svolga l’attività), la responsabilità anche secondo i crismi del diritto penale.