Cass. pen., Sez. III, 5 febbraio 2014, n. 5684

Nel caso di specie, all’imputato era stata contestata la cooperazione nel delitto di lesioni personali colpose, per avere partecipato a due interventi chirurgici effettuati dal primario del suo reparto a un paziente che aveva subito una appendicectomia da cui era sorta una emorragia post-operatoria.

In particolare, al paziente il primario eseguiva un intervento con l’assistenza in qualità di aiuto dell’imputato; persistendo l’emorragia, lo stesso giorno fu eseguito un altro intervento sempre dal primario, avendo come aiuto un altro medico e come assistente l’imputato. Il primo intervento del primario aveva leso la milza, per cui il secondo era consistito nell’asportazione di questa, cagionandosi così, inoltre, laparocele al paziente.

Il Tribunale aveva assolto l’imputato per non avere commesso il fatto, ritenendo che nella sua qualità non gli era addebitabile alcun comportamento colposo che avesse contribuito alla causazione delle lesioni; dichiarava invece colpevole il primario.

La Corte d’Appello aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati per essersi il reato loro ascritto estinto per intervenuta prescrizione; di qui il ricorso per cassazione alla Quarta Sezione Penale, che annullava con rinvio.

La Corte d’Appello ha ritenuto il reato estinto per intervenuta prescrizione reputando, per quanto riguarda la posizione del ricorrente, l’inapplicabilità dell’art. 129 c.p.p., comma 2 (vale a dire, quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione), perché “nella sua veste di aiuto aveva il dovere di dissociarsi dalla conduzione della operazione facendo rilevare il suo dissenso sul diario clinico”.

In tal senso, richiamava un precedente giurisprudenziale (Cass., sez. IV, 5 ottobre 2000, n. 13212) in base al quale deve ritenersi che “se primario, aiuto ed assistente condividono le scelte terapeutiche, tutti insieme ne assumano la responsabilità. Quando invece l’assistente o l’aiuto non condividano le scelte terapeutiche del primario (il quale non abbia peraltro esercitato il suo potere di avocazione), possono andare esenti da responsabilità solo se abbiano provveduto a segnalare allo stesso primario la ritenuta inidoneità o rischiosità delle scelte anzidette”.

Ma, osserva la Corte di Cassazione su ricorso dell’imputato, questo precedente non attiene affatto alla posizione dell’imputato nella vicenda concreta.

Invero, tale pronuncia concerne non un intervento chirurgico, bensì “scelte terapeutiche”, rispetto alle quali, fra l’altro, viene prospettato anche l’esercizio del potere di avocazione del primario. E in questo senso è logico fare riferimento a un “diario clinico”, trattandosi quindi di un documento in cui vengono registrate le terapie e descritte le loro conseguenze sul paziente.

Nel caso in esame, invece, si è trattato – sostiene la Cassazione – di un intervento chirurgico praticato direttamente dal primario, per cui del tutto incongruo è il riferimento – da parte della Corte d’Appello – a un potere di avocazione dello stesso; parimenti incongruo è affermare che l’assistente o l’aiuto possono andare esenti da responsabilità solo se segnalano al primario l’inidoneità e la rischiosità delle scelte. Infatti, si trattava di un’attività manuale espletata dal primo operatore, cioè dal primario, ed a questo attribuibile, non potendo i suoi assistenti interferire in modo efficace su quanto egli compiva. Non si è, invero, in presenza di un diario clinico da compilare dopo aver verificato l’effetto delle terapie al paziente; né certamente, poi, è prospettabile un dissenso “a tempo reale” manifestato mediante l’abbandono della sala operatoria.

Quello che avrebbe dovuto essere identificato come fonte di responsabilità dell’imputato era configurabile in una sua specifica mansione cui non avrebbe provveduto con la dovuta diligenza e la dovuta perizia (cfr., a proposito della responsabilità dei componenti di una equipe medica, Cass., Sez. IV, 9 aprile 2009, n. 19755, che collega la responsabilità penale, appunto, alla valutazione delle concrete mansioni di ciascun componente; sulla violazione dei canoni di diligenza e perizia connessi alle specifiche ed effettive mansioni svolte quale presupposto della responsabilità in un contesto operativo in cui si muove una pluralità di chirurghi, cfr. Cass., Sez. IV, 26 ottobre 2011, n. 46824; Cass., Sez. IV, 11 ottobre 2007, n. 41317; Cass., Sez. IV, 12 luglio 2006, n. 33619).

Non emergendo dagli atti, conclude la Cassazione, elementi nel senso che l’imputato abbia contravvenuto ad alcun suo specifico obbligo di diligenza e di perizia nell’esercizio delle sue mansioni di aiuto o di assistente, il ricorso è fondato nel senso dell’applicabilità dell’art. 129 c.p.p., comma 2, che ovviamente prevale sulla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, sussistendo al contrario i presupposti per dichiarare il proscioglimento nel merito, in quanto non risulta che l’imputato abbia commesso il fatto.