Cass. pen., Sez. IV, 17 maggio 2013, n. 21285

Una infermiera veniva dichiarata responsabile del delitto di omicidio colposo in danno di un paziente affetto da varie patologie e degente in un’unità di terapia intensiva coronarica. Si era, invero, acclarato che il grave trauma contusivo riportato nel cadere di notte dal letto fu la principale causa del decesso del paziente.

I giudici hanno ritenuto la mancata apposizione delle sponde al letto del paziente (quale intervento non cruento e non invasivo atto ad evitare o, comunque, a diminuire fortemente il rischio di cadute) cui l’imputata non aveva provveduto nel corso del turno di servizio, una omissione connotata da elevatissima negligenza, in violazione di un chiaro obbligo di protezione gravante sul personale infermieristico del nosocomio a salvaguardia del rischio di caduta cui il paziente si trovò concretamente esposto, come comprovato dalle condizioni di disorientamento, di agitazione e di confusione mentale, documentate dal diario infermieristico.

A tal proposito, è bene sottolineare che a fondare la condotta colposa è l’oggettivo contrasto tra la condotta concretamente tenuta dall’agente e quella prescritta dall’ordinamento. L’individuazione della condotta prescritta dall’ordinamento è differente a seconda che il rimprovero abbia ad oggetto la colpa generica (imprudenza, negligenza, imperizia) o quella specifica (inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline). Nella prima eventualità è sul giudice che grava il peso dell’individuazione della regola di diligenza che andava rispettata nel caso concreto (come avvenuto correttamente nella specie); nelle ipotesi di colpa specifica, invece, il giudice è chiamato a constatare il mancato rispetto di una regola cautelare descritta da una norma giuridica.

In entrambe le ipotesi di colpa, la valutazione della violazione della diligenza prescritta non esaurisce il processo di accertamento della colpa, dovendo il giudice accertare anche l’effettiva realizzazione dello specifico rischio che la regola di diligenza violata tendeva a neutralizzare, la prevenibilità dell’evento dannoso attraverso il rispetto della diligenza prescritta, l’esigibilità della condotta prescritta.

Nella stessa ottica della sentenza in epigrafe, la Cassazione ha ravvisato il reato di omicidio colposo in capo agli infermieri di un ospedale per non aver prestato idonea vigilanza durante le ore notturne sul paziente ricoverato, affetto da disturbi psicotici, che aveva aggredito e ucciso il suo vicino di camera (Cass. pen., Sez. IV, 30 gennaio 2008, n. 8611).

Invero, rientra nei compiti dell’infermiere controllare il decorso della convalescenza del paziente ricoverato in reparto, sì da poter porre le condizioni, in caso di dubbio, di un tempestivo intervento del medico (Cass. pen., Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 24573).

Più in generale, gli operatori di una struttura sanitaria, medici e paramedici, sono tutti ex lege portatori di una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex artt. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità; l’obbligo di protezione perdura per l’intero tempo del turno di lavoro e, laddove si tratti di un compito facilmente eseguibile nel giro di pochi secondi, non delegabile ad altri (fattispecie in cui è stato escluso che fosse giustificato il comportamento di un infermiere che, in prossimità della fine del turno di lavoro, delegava un collega per eseguire l’ordine impartitogli da un medico di chiamare un altro medico; ordine facilmente e rapidamente eseguibile attraverso un citofono: Cass. pen., Sez. IV, 2 marzo 2000, n. 9638).