Prima di addentrarci sull’analisi dei casi concreti occorsi, è opportuno spendere poche parole su due temi specifici.

Il primo riguarda l’obbligatorietà assicurativa. Come è noto, l’obbligo per i (liberi) professionisti di avere un’“adeguata” assicurazione per la responsabilità civile professionale è stato stabilito dal D.L. 138/2011 prevedendo, in caso di violazione, l’applicazione di sanzioni deontologiche da parte degli ordini e dei collegi professionali di riferimento. Come norma speciale, rispetto a quella generale sopra citata, il Decreto Balduzzi ha previsto una procedura per l’emanazione di un apposito regolamento finalizzato a definire, per tutte le professioni sanitarie, quando una polizza si può definire “adeguata”.In questo quadro, il Consiglio di Stato ha pronunciato uno specifico parere sul punto, stabilendo che fino a quando non sarà emanato tale regolamento sui requisiti minimi delle polizze assicurative, la violazione dell’obbligo assicurativo non potrà essere sanzionato da parte degli Ordini e Collegi interessati.

Dall’aprile 2014 – data in cui è partito il nuovo corso dell’iniziativa Promesa – ad oggi, grazie al sistema assicurativo offerto ai soci, la nostra associazione ha attivato un sistema di monitoraggio sulla responsabilità professionale dei professionisti sanitari. Un’attività che costituisce il prologo indispensabile poter definire adeguati strumenti di protezione (e prevenzione) e di difesa per gli associati.

Un secondo aspetto di carattere generale riguarda la Polizza di tutela legale offerta a tutti coloro che si iscrivono a Promesa che, com’è noto, è limitata alle sole azioni penali.

Le ragioni di tale limitazione sono molteplici:

  • qualora vi sia un procedimento civile, il lavoratore sanitario ha diritto a essere difeso secondo quanto disposto dall’art. 1917 del codice civile:

«Assicurazione per la responsabilità civile

Nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi .

L’assicuratore ha facoltà, previa comunicazione all’assicurato, di pagare direttamente al terzo danneggiato l’indennità dovuta, ed è obbligato al pagamento diretto se l’assicurato lo richiede.

Le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata (del massimale, ndr). Tuttavia, nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse.

L’assicurato, convenuto dal danneggiato, può chiamare in causa l’assicuratore.»

Tale norma trova applicazione anche nel caso in cui vi sia un procedimento penale con costituzione di parte civile;

se invece il lavoratore si trova coinvolto in un procedimento penale in cui non vi è stata costituzione di parte civile, avrà necessità di affrontare direttamente, con il proprio patrimonio, le spese legali e peritali: proprio per fronteggiare questi casi, è stata attivata questa polizza di tutela legale.

Sempre con riferimento alle spese legali e peritali, trova applicazione quanto stabilito dalla contrattazione collettiva in materia. Infatti, sul punto, l’art. 92 (ex art. 26 CCNL 2001) prevede:

«Patrocinio legale

  1. L’Azienda, nella tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti del dipendente per fatti o atti connessi all’espletamento del servizio ed all’adempimento dei compiti di ufficio, assume a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interesse, ogni onere di difesa fin dall’apertura del procedimento e per tutti i gradi del giudizio, facendo assistere il dipendente da un legale, previa comunicazione all’interessato per il relativo assenso.
  2. Qualora il dipendente intenda nominare un legale di sua fiducia in sostituzione di quello indicato dall’azienda o a supporto dello stesso, i relativi oneri saranno interamente a carico dell’interessato. Nel caso di conclusione favorevole del procedimento, l’azienda procede al rimborso delle spese legali nel limite massimo della tariffa a suo carico qualora avesse trovato applicazione il comma 1, che comunque, non potrà essere inferiore alla tariffa minima ordinistica. Tale ultima clausola si applica anche nei casi in cui al dipendente, prosciolto da ogni addebito, non sia stato possibile applicare inizialmente il comma 1 per presunto conflitto di interesse.
  3. L’azienda dovrà esigere dal dipendente, eventualmente condannato con sentenza passata in giudicato per i fatti a lui imputati per averli commessi con dolo o colpa grave, tutti gli oneri sostenuti dall’azienda per la sua difesa.»

 

REPORT SINISTRI

Passando all’analisi della casistica, sino ad oggi sono stati aperti 18 sinistri sulla Polizza di responsabilità civile professionale, dei quali 12 anche per procedimenti penali (con conseguente apertura del sinistro anche sulla Polizza di tutela legale).

Quanto ai comportamenti oggetto di contestazione, la maggior parte di questi riguardano l’emergenza extra-ospedaliera (omicidio colposo per manovre rianimatorie tardive sia in caso di incidente stradale che per decesso per arresto cardiaco nel corso del trasferimento) o intra-ospedaliera: decesso nel corso di una laparotomia esplorativa urgente. Tra questi, alcuni sinistri sono stati aperti solo in via cautelare: di questi uno riguarderebbe un caso di doppia somministrazione di terapia.

Altri casi riguardano l’assistenza alla persona: viene contestato l’omicidio colposo per un paziente durante il turno dell’infermiere, il quale, però, ha immediatamente coinvolto il medico di turno e purtroppo vi sono contestazioni conseguenti alla caduta del paziente dal letto.
Infine, vi è un’imputazione per lesioni personali dovuta a una garza dimenticata. Sul punto, risultano necessarie alcune brevi considerazioni sulle conseguenze assicurative dei fatti contestati.

L’art. 91 del T.U. delle disposizioni contrattuali vigenti (Comparto Sanità, ex art. 25 CCNL 2001) prevede quanto segue:

«Le Aziende assumono tutte le iniziative necessarie per garantire la copertura assicurativa della responsabilità civile dei dipendenti, ivi comprese le spese di giudizio

[…] per le eventuali conseguenze derivanti dalle azioni giudiziarie di terzi (i pazienti, ndr), relativamente alla loro attività  senza diritto di rivalsa, salvo le ipotesi di dolo e colpa grave.»

Ne consegue che, indifferentemente dal tipo di azione (civile o penale) a cui il singolo lavoratore della sanità sia sottoposto, gli eventuali aspetti risarcitori nei confronti dei pazienti dovranno essere innanzitutto a carico dell’azienda presso cui il sanitario lavora.

L’azienda sarà leader della vicenda processuale e sarà direttamente coinvolta negli eventuali risarcimenti.

Ma ai fini della operatività della polizza assicurativa è fondamentale aprire immediatamente il sinistro in modo che, qualora l’azienda sia condannata (o decida di procedere) al risarcimento del danno, il sanitario possa poi intervenire nell’eventuale successivo giudizio per colpa grave ben supportato assicurativamente.

Siccome, però, si possono verificare dei casi i cui il paziente decida di agire direttamente nei confronti dei professionisti è comunque fondamentale aprire il sinistro in modo da poter intervenire nel giudizio in modo adeguato sia per quanto concerne le difese sia per quanto concerne un eventuale coinvolgimento diretto negli aspetti risarcitori.

Sul punto, occorre evidenziare quanto affermato in alcune sentenze emesse dal Tribunale civile di Milano.

Secondo quanto indicato nell’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi, si può affermare che l’intenzione del legislatore è quella di ritenere che la responsabilità del sanitario per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d’opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito (art. 2043 c.c.) e non alla responsabilità contrattuale di cui all’art. 1218 c.c.

Dunque, l’obbligazione risarcitoria del sanitario scaturisce solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito “per colpa” (che il paziente danneggiato ha l’onere di provare) e soggiace al regime di prescrizione quinquennale.

In tal senso si è espresso il Tribunale di Milano con una sentenza definita “storica”.

Secondo il Tribunale di Milano, con l’entrata in vigore della legge Balduzzi (il cui dichiarato scopo è stato proprio quello di contenere la spesa pubblica e arginare il fenomeno della medicina difensiva sopra descritto), si è aperto in dottrina e giurisprudenza un accesso dibattito sul regime della responsabilità sanitaria da “malpractice”, ben sintetizzato da due pronunce: quella del Tribunale di Torino del 26/2/2013 e quella del Tribunale di Rovereto del 29/12/2013.

Per la prima, la legge Balduzzi ha cambiato il “diritto vivente”, nel senso che l’art. 2043 c.c. sarebbe ora la norma a cui ricondurre sia la responsabilità del sanitario pubblico dipendente sia quella della struttura pubblica nella quale lavora (non essendo ipotizzabile secondo quel giudice un diverso regime di responsabilità del sanitario e della struttura).

Per la seconda, la legge non ha nessuna portata innovatrice in quanto, il richiamo all’art. 2043 c.c. contenuto nell’art. 3 andrebbe riferito solo al giudice penale per il caso di esercizio dell’azione civile in sede penale.

Anche la Suprema Corte, prosegue il Tribunale per completezza della sua disamina, si è pronunciata sulla possibile portata innovatrice della legge Balduzzi sinora escludendola.

Discostandosi, pertanto, da tutte le precedenti pronunce in materia, il Tribunale, all’esito dell’indagine condotta, ha ritenuto che, al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al professionista da un rapporto contrattuale, il criterio attributivo della responsabilità civile al sanitario debba essere individuato in quello della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., con tutto ciò che ne consegue sia in tema di riparto dell’onere della prova, sia di termine di prescrizione quinquennale (e non più decennale) del diritto al risarcimento del danno.

Pertanto, sinteticamente e in conclusione, il giudice milanese ha statuito che:

  • l’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi non incide né sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata) né su quello del sanitario che ha concluso con il paziente un contratto d’opera professionale (anche se nell’ambito della cd attività libero professionale svolta dal sanitario dipendente pubblico), in entrambi i casi disciplinate dall’art.1218 c.c.;
  • il tenore letterale dell’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi e l’intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del sanitario (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d’opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c.;
  • se, dunque, il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo sanitario con il quale è venuto in “contatto” presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del sanitario va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell’illecito ex art. 2043 c.c. che l’attore ha l’onere di provare;

se, nel caso suddetto, oltre al sanitario è convenuta dall’attore anche la struttura sanitaria presso la quale l’autore materiale del fatto illecito ha operato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quella ex art. 2043 c.c. per il sanitario e quella ex art. 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell’onere probatorio e diverso