A cura di Riccardo Salomone – avvocato in Torino

La Corte d’appello di Torino ha prosciolto con sentenza irrevocabile, un medico anestesista, operatore del servizio 118, che era stato rinviato a giudizio per il reato di omissione di soccorso (art. 591 cod. pen.)
Brevemente i fatti: durante un servizio notturno in periodo invernale e zona montana, la dottoressa e il suo equipaggio giungevano dopo la chiamata del gestore dell’hotel il quale informava che un suo dipendente, Marco, si trovava in stato di incoscienza. Quella notte il dipendente Marco si trovava in condizioni di incapacità di provvedere a sé stesso posto che lo stesso era in stato di incoscienza, presentava un’escoriazione sullo zigomo sinistro ed accanto a lui vi erano alcune macchie di sangue, indicative di caduta, oltre ad evidenti sintomi di assunzione di bevande alcooliche.
I soccorritori intervenuti, dopo un primo tentativo vano di svegliarlo, lo lasciavano presso l’hotel sotto la custodia del gestore. Il mattino successivo, sotto l’insistenza del datore di lavoro, Marco veniva portato in ospedale dato il perdurante stato di incoscienza e le ripetute perdite di sangue dal naso. Una volta in Ospedale, veniva sottoposto a TAC cerebrale che evidenziava “un ematoma sottodurale acuto con deviazione verso destra delle strutture della linea mediana con erniazione sub faciale del ventricolo laterale sinistro”, pertanto veniva ricoverato presso l’Ospedale in coma farmacologico con prognosi riservata per “trauma cranico”, prognosi poi sciolta con successiva ulteriore prognosi di 40 giorni.
In seguito, la dottoressa veniva imputata e tratta a giudizio per il rato di cui all’art.  591 c.p.
Il Tribunale pronunciava sentenza con la quale assolveva l’imputata in quanto il giudice riteneva che la mancata disposizione del ricovero in ospedale non avesse esposto Marco a pericolo.
Il Tribunale fondava la decisione sulla Consulenza Tecnica dell’imputata, la quale evidenziava che non poteva essere mosso alla stessa nessun rimprovero in quanto, seppur il paziente al momento della visita si trovava in una condizione di incoscienza, non era comunque in pericolo di vita.
Il Procuratore Generale proponeva appello, La Corte d’Appello sentenziava, confermando la assoluzione, affermando che mentre la difesa dell’imputata aveva fornito consulenza tecnica in merito alla situazione del Marco, il P.M. non aveva disposto nessun approfondimento tecnico-scientifico per avvalorare l’ipotesi accusatoria dell’aver l’imputata lasciato la persona offesa in uno stato di potenziale pericolo per la sua vita.
La consulenza tecnica dell’indagata forniva delucidazioni in merito al comportamento della stessa: in presenza dell’evidente stato d’ebbrezza in cui versava la persona offesa, la dottoressa decideva di lasciarlo alle cure del suo datore di lavoro necessarie e sufficienti in quel caso per prevenire o curare qualsiasi complicanza notturna.
Sia il giudice di prime cure che il Collegio, facevano propri i pareri del consulente di parte richiamando la sentenza della Corte di Cassazione n. 27705/2018, secondo la quale l’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci, è integrato da qualsiasi condotta, attiva o omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo.
Come rilevava però la Corte d’Appello, l’imputata non si limitava a refertare lo stato del paziente lasciandolo poi in balia del caso ma, a fronte di quanto rilevato dalla visita medica, disponeva che lo stesso fosse affidato alle cure e sotto la vigilanza del datore di lavoro.
 Volendo analizzare la fattispecie di cui all’art. 591 c.p., non si può che partire dal termine “abbandono” presente nell’enunciato dell’articolo.
“Abbandonare” significa interrompere, o addirittura non costituire il rapporto di assistenza al quale la legge obbliga, siffatto atteggiamento per qualificarsi tale deve porre il soggetto abbandonato in una situazione di concreto pericolo per la sua vita o per la sua incolumità.
Una parte della dottrina sostiene che il legislatore con questo reato abbia voluto reprimere la totale mancanza di assistenza, tale per cui il reato si configurerebbe nel momento dell’abbandono di un soggetto in concreto pericolo.
Dottrina minoritaria al contrario ritiene che per integrare il reato sarebbe sufficiente la semplice azione o omissione che contrasti con l’obbligo della custodia o della cura.
Quest’ultima però, trascura il vero scopo perseguito dal legislatore con l’art. 591 c.p. che, come anche sostenuto dalla Relazione al codice penale, è la tutela della vita e dell’integrità fisica della persona abbandonata.
Dunque, la domanda a cui effettivamente bisognava dar risposta era se il Marco, al momento dell’”abbandono”, si trovasse in pericolo di vita o in una situazione di potenziale danno alla sua incolumità.
Dalla ricostruzione dei fatti, risultava che il Marco prima di essere lasciato nell’albergo era sottoposto a vari controlli il cui esito aveva portato a ritenere lo stesso fosse solo molto ubriaco, per cui era stato portato in una stanza adiacente a quella del suo datore di lavoro, in modo tale che fosse costantemente sottoposto a controlli; controlli poi effettivamente fatti durante la notte.
A sostegno dell’innocenza della dottoressa, bisogna rilevare come al momento della commissione del fatto mancasse l’elemento soggettivo del dolo.
Il reato di cui all’art 591 c.p. richiede, oltre alla volontà dell’abbandono, anche la presenza dell’elemento soggettivo del dolo: il soggetto agente deve rappresentarsi almeno la possibilità di un concreto pericolo per la persona “abbandonata”, e quindi prevedere che dalla sua condotta possa scaturire la possibilità di un danno per la persona minore o incapace.
Qualora l’agente sia convinto, che nessun danno in concreto potrà determinarsi non sussistono gli estremi dell’abbandono punibile.
Per tutte le ragioni su esposte e per la carenza sia dell’elemento oggettivo che dell’elemento soggettivo, non è da ritenersi integrata la fattispecie ex art. 591 c.p.