A cura del Dott. Vincenzo Castiglione – Magistrato – Presidente del Comitato di etica SOI

Il Senato della Repubblica ha approvato, in data 11 gennaio 2017, il provvedimento, che torna alla Camera dei Deputati per l’approvazione definitiva. Dopo oltre 15 anni di dibattito parlamentare ed un primo tentativo, con la legge n. 189 del 2012 (meglio conosciuta come legge Balduzzi), il Parlamento si appresta a dare una risposta complessiva al tema della responsabilità professionale del personale sanitario e della sicurezza delle cure per i pazienti.

Come è noto, il mutamento radicale dei principali elementi, che, in concorso tra di loro, hanno tradizionalmente caratterizzato il rapporto dei cittadini con l’apparato preordinato alla tutela della loro salute, ha determinato tensioni originate dai diversi fattori del più generale mutamento sociale ed economico, che hanno interessato trasversalmente anche il comparto sanitario. Così, dalla seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso, si è assistito ad un conflitto crescente, che ha assunto, nel corso del tempo, le dimensioni di un fenomeno patologico che: ha, in primo luogo, eroso la fiducia dei cittadini nei confronti degli erogatori, soprattutto singoli professionisti; ha generato un diffuso ricorso alla (ridondanza) prescrittivo-terapeutica, connotata da un agire per meri fini difensivi, con l’effetto di aumentare una spesa insostenibile; infine, ha indotto a dismisura il ricorso alla giurisdizione, che ha causato – ad esito del contenzioso (sia esso conseguenza di giudicato, o di “utilità economica” stragiudiziale) – un ristoro economico sugli erogatori pubblici e privati.

Il legislatore, conseguentemente, ha opportunamente registrato l’esigenza, manifestata in più occasioni dagli attori professionali, che animano quotidianamente il nostro sistema sanitario, di vedersi non tanto tutelati a prescindere, attraverso una sorta di estromissione dalle responsabilità che caratterizzano in astratto l’agire delle professioni intellettuali, bensì di potersi affidare ad un quadro legislativo, regolatorio e di legittimante autodisciplina tecnica idoneo ad offrire un approdo alle quotidiane esigenze di “chi opera al servizio e in risposta ai bisogni dei cittadini più fragili”.

L’asseveramento del Senato offre, quindi, spunti per sviluppare alcune considerazioni.

Innanzi tutto, rispetto al testo approvato dall’Assemblea di Montecitorio (il 28 gennaio 2016), nel corso dell’esame in XII Commissione a Palazzo Madama sono state introdotte diverse modifiche al testo: dalla predisposizione di una relazione annuale consuntiva sugli eventi avversi, verificatisi all’interno di struttura sanitaria o sociosanitaria, all’obbligo per le direzioni sanitarie di fornire la documentazione (sanitaria) dei pazienti, che ne faranno richiesta, entro sette giorni, dall’affidamento delle linee guida non più solo alle Società scientifiche, ma anche enti e istituzioni ed associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, all’esclusione della responsabilità penale a carico degli esercenti le professioni sanitarie nei casi di imperizia allorquando siano rispettate i suggerimenti previsti dalle linee guida. Ed ancora, dalla responsabilità civile di natura extracontrattuale per gli esercenti la professione sanitaria in ambito pubblico, salvo che abbiano agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente, all’introduzione del tentativo obbligatorio di conciliazione per chi intenda esercitare un’azione dinanzi il giudice civile.

Quanto all’azione di rivalsa nei confronti dei professionisti, essa dovrà essere esercitata dal Pubblico Ministero presso la Corte dei Conti. Infine, tutte le strutture sanitarie e sociosanitarie saranno obbligate ad assicurarsi anche per danni causati dal personale a qualunque titolo, e dovranno istituire un Fondo rischi per il risarcimento dei sinistri, che non può essere sottoposto ad esecuzione forzata.

Il Senato, poi, ha approvato ulteriori emendamenti (in tutto nove) riguardanti gli articoli 4, 8, 9, 10, 12 e 14.    

Tanto premesso, giova ricordare, sia pure sommariamente, i punti salienti della normativa approvata dal Senato.

 

  1. A) Norme generali di principio in materia di sicurezza delle cure sanitarie: essa è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività (chiaro riferimento all’articolo 32 della Costituzione, n.d.r.). La sicurezza si consegue “anche mediante l’insieme di tutte le attività intese alla prevenzione ed alla gestione del rischio (connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie) e mediante l’impiego appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative” (art. 1). Alle attività di prevenzione del rischio, poste in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti “che vi operino in regime di convenzione con il SSN”. La norma così formulata, stante la tipicità del rapporto convenzionale, espone al concreto rischio di veder sottratti da taluni obblighi organizzativi ad adempiere una quota considerevole di figure professionali le quali, pur operando stabilmente all’interno della spedalità pubblica, potrebbero legittimamente sottrarsi in forza del fatto che il loro rapporto libero professionale non risulti qualificato come convenzione. Auspicabilmente, in questo caso, occorre fare riferimento al fatto di esercitare la propria attività professionale per conto del S.S.N.

 

  1. B) Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida (art. 5). Il legislatore demanda ad un Decreto del Ministero della Salute la regolamentazione e l’istituzione di un elenco di società scientifiche; conseguentemente, gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie “con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale si attengono, salve specificità del caso concreto, alle raccomandazioni indicate dalle linee guida elaborate da enti e istituzioni pubbliche e private nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in un apposito elenco istituito e regolamentato con Decreto del Ministro della salute, da emanare entro 90 giorni alla data di entrata in vigore della presente legge e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali” (comma 1).

Le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse sono integrati dal Sistema nazionale per le linee guida (SNLG). L’Istituto superiore di sanità pubblica sul proprio sito internet le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse indicati dal SNLG, previa verifica della conformità del rigore adottato a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto, nonché della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni (comma 3).

L’articolo in questione appare connotato da eccessiva ridondanza e si presta a diverse osservazioni, tra cui va sottolineata la seguente: il panorama domestico, come non si è mancato di ricordare, offre una pluralità di attori organizzati all’interno dello stesso settore disciplinare, rendendo dunque necessario fare preliminarmente chiarezza su chi rappresenterà la singola disciplina medico-chirurgica. Si vedrà, infatti, che non è di poco conto sottolineare come l’esimente penale (di cui all’articolo 6 del disegno di legge) riferita alla non riconducibilità delle condotte penalmente rilevanti nell’alveo della colpa grave di cui al citato articolo 6 opera allorquando il professionista abbia rispettato le Good Clinical Practice e le Linee Guida, entrambi strumenti di autodisciplina professionale rimessi alla competenza delle società scientifiche. E’ bene, poi, porre in evidenza che, ai fini della valutazione della rilevanza delle linee guida nella ricostruzione della colpa professionale, questione rilevante dal punto di vista giuridico è quella del rapporto tra linee guida e pratiche mediche prevalenti o diffuse (c.d. customs, nella giurisprudenza e dottrina anglosassoni).

Le linee guida intendono rappresentare, o codificare, le prassi mediche diffuse?

Ad un primo esame anche della letteratura giuridica, sorgono notevoli dubbi sulla questione se le linee guida rappresentino gli usi medici correnti, o piuttosto uno standard cautelare di tipo normativo o ideale: in altri termini, le linee guida individuano un livello minimo o basilare, di diligenza ordinariamente diffusa, o pongono “l’asticella” dello standard cautelare al più alto livello della migliore scienza ed esperienza del momento storico, nello specifico settore?

Tralasciando ogni altra questione (ad es. il concetto – familiare ai giuristi – di migliore scienza ed esperienza), occorre individuare i criteri che impongono ai soggetti un progressivo adeguamento (pur mediato eventualmente da un ragionevole lasso di tempo, come sembra volere il disegno normativo approvato dal Senato) alle nuove acquisizioni della ricerca scientifica-tecnologica. Infatti, quid iuris se le regole cautelari (suggerite dalle linee guida)che pure continuano ad essere generalmente praticate, vengono superate dall’evoluzione successiva delle conoscenze?

Il Senato ha, forse, perso l’occasione di colmare una lacuna dovuta al fatto che esistono settori, anche importanti della medicina, per i quali manca una qualsiasi evidenza scientifica. Allora, se le linee guida devono avere come indefettibile presupposto (la medicina basata sulle) evidenze scientifiche, occorre riconoscere che, in molte situazioni, le evidenze sono ancora troppo scarse, o comunque inadeguate a delineare compiuti percorsi diagnostico terapeutici; le linee guida potrebbero trovare ampia diffusione proprio nelle aree dell’attività medica in cui le esistenti appaiono insufficienti.

Il tutto potrebbe avere un notevole significato nell’area dell’esimente penale di cui all’articolo 6.

 

  1. C) Responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria (articolo 6).

Una novità di spicco è rappresentata da detto articolo, che, nell’abrogare l’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 158/2012 (c.d. decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge 189/2012 (in forza del quale l’esercente le professioni sanitarie doveva essere mandato esente da responsabilità penale per colpa lieve per i reati di omicidio e lesioni colpose, ove si fosse attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica), ha aggiunto – nel codice penale – l’articolo 590-sexies, disponendo che: se i reati di omicidio colposo (art. 589 cod. pen.) e lesioni personali colpose (art. 590 cod. pen.) sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste, ma si esclude la punibilità, qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia e siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali: sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

Dalla formulazione dell’articolo 6 balza evidente la differenza rispetto al precedente art. 1, comma 3, della legge Balduzzi, che aveva previsto l’esimente penale soltanto per la colpa lieve: con l’attuale formulazione, l’esimente riguarda, sic et simpliciter, la colpa che può essere anche grave.

Inoltre, la formulazione dell’art. 6, con l’introduzione dell’art. 590-sexties cod. pen. potrebbe indurre qualche interprete, in sede di applicazione giudiziaria della norma, a ritenere violato un principio, mai posto in discussione, nella materia penale: il principio di determinatezza delle fattispecie incriminatrici, in forza del quale il contenuto della fattispecie incriminatrice deve risultare tale da consentire la precisazione sicura del confine tra lecito ed illecito. E’, allora, evidente che tale principio potrebbe non essere stato rispettato, atteso la variabilità delle fonti cautelari escludenti la punibilità potrebbe portare ad una continua variabilità della fattispecie legale (certamente non consentita).

Un’ultima questione riguarda i profili d’illegittimità costituzionale per violazione del parametro contenuto nell’art. 3 della Costituzione: l’introduzione, nel nostro ordinamento, di un’esimente penale a favore di una sola categoria di persone potrebbe essere ritenuta non conforme al principio di eguaglianza di trattamento.

 

  1. D) Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria (art. 7).

Il legislatore, con tale norma, ha adottato, in tema di responsabilità civile il c.d. doppio binario (ossia, un diverso regime tra struttura e medico dipendente): rimane ferma la responsabilità contrattuale della struttura, mentre quella del medico dipendente assume i contorni di quella extracontrattuale (art. 2043 cod civ. “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”). La riforma non è di poco conto, posto che per la responsabilità contrattuale il diritto si prescrive in dieci anni, mentre nella responsabilità extracontrattuale la prescrizione è di cinque anni. Inoltre, mentre nella responsabilità contrattuale, gli oneri probatori gravano sul danneggiante, nella responsabilità extracontrattuale tali oneri sono in capo alla parte danneggiata, con evidente alleggerimento della posizione del danneggiante, nella specie del medico dipendente.

Con l’art. 7 il legislatore ha cancellato la (circa) ventennale, granitica, giurisprudenza della Corte di Cassazione che definito la responsabilità del medico dipendente dalla struttura come contrattuale da contatto sociale.

E’ singolare che il legislatore, con una sorta di senso di colpa, per evitare che la giurisprudenza, in futuro, riprendere il filone giurisprudenziale sulla responsabilità contrattuale anche nei confronti dell’esercente la professione sanitaria dipendente della struttura, abbia chiuso l’art. 7 con una stupefacente clausola del seguente tenore: “Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del codice civile” (sic).

Un’annotazione si rende necessaria: appare irragionevole (con l’introduzione del doppio binario) l’intervento del legislatore , che appare di tipo autoritativo nella qualificazione di un fenomeno giuridico (l’art. 2043 cod. civ. per l’attività del medico dipendente da struttura), la cui interpretazione – nel rispetto del principio di separazione dei poteri – compete ai giudici. Di guisa che, come ipotizzato da qualche autore, si potrebbe profilare una situazione di conflitto di attribuzione.

 

  1. E) Nomina dei consulenti tecnici d’ufficio (art. 15)

L’ultima concerne la nomina dei consulenti tecnici d’ufficio, che debbono essere individuati tra i medici specializzati in medicina legale ed uno o più specialisti “nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento”.

Nel testo approvato dal Senato è stato espunto il riferimento alla comprovata “esperienza pratica”, mentre è stato conferito agli stessi consulenti una nuova posizione: possono essere scelti quelli che siano in possesso di adeguate e comprovate competenze nell’ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativa: di nuovo un’occasione persa da parte del legislatore che con la modifica apportata al testo precedente esclude la possibilità che consulenti e periti di esperienza concreta possano aiutare i giudici nella individuazione della verità conferendo rilevanza al fatto che siano “in possesso di adeguate e comprovate competenze nell’ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi”. Alla fine a fronte di un processo complesso, magari su una tecnica chirurgica sofisticata, invece di avere un luminare della materia, il giudice potrà contare solo su un consulente che avrà fatto un corso da mediatore presso la Camera di commercio della città. Peccato.