A cura dell’avv. Riccardo Salomone

(Foro di Torino)

 

Cass. pen., Sez. IV, 21 gennaio 2016, n. 2541
Qualche settimana fa è stato pubblicato sul nostro sito il riassunto di una sentenza che mettiamo in coda a questo commento, per Vostra comodità.
Tale decisione ripercorre una vicenda che a molti di Voi ricorderà la faticosa quotidianità del proprio lavoro.
Si racconta infatti di un incidente, dalle gravi conseguenze mortali, avvenuto in una situazione in cui la morte – forse – si sarebbe potuta evitare se la macchina organizzativa avesse funzionato a dovere.
Il malfunzionamento di tali meccanismi gestionali, nella vicenda specifica, ha avuto come conseguenza la affermazione di mancanza di responsabilità in capo al primario, riconoscendo esplicitamente al personale infemieristico un grado di responsabilità autonomo ed ulteriore rispetto a quello a carico del personale medico.
Tale affermazione non ha portato ad alcuna condanna nei confronti degli infermieri, poiché non erano imputati in tale processo, ma potrà certamente essere utilizzata in future decisioni per la chiarezza esplicativa con cui si esprime.
Ed infatti, in linea con precedenti affermazioni, la posizione di garanzia dell’infermiere trova la propria origine e la propria giustificazione proprio nei “compiti cautelari della salvaguardia della salute del paziente”, definendosi così una specifica posizione autonoma di professionista sanitario.
Inoltre, i Supremi Giudici rammentano come già il Tribunale, in primo grado, abbia richiamato le responsabilità dei vertici dell’amministrazione sanitaria, la quale aveva ostacolato le “richieste di supporto ed integrazione del personale” provenienti dal direttore.
In buona sostanza, concludendo, si vede come la giurisprudenza cerchi di delineare le singole, personali responsabilità, conformandole ai doveri ed ai compiti che l’ordinamento assegna ai singoli ruoli, evitando (correttamente) di fare “di ogni erba un fascio”.

“Un medico veniva tratto a giudizio davanti al Tribunale in ordine al delitto di omicidio colposo perché, nella qualità di direttore della Divisione di Cardiologia e Unità di Terapia Intensiva Cardiologia, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inoltre in violazione dei protocolli di buona prassi di organizzazione del lavoro in U.T.I.C. cagionava il decesso di un paziente. Precisamente, veniva contestato di aver omesso di verificare, al momento del trasloco dell’U.T.I.C. presso la nuova struttura, che il mantenimento della precedente turnazione di tre infermieri professionali complessivi (non adeguato alla nuova logistica del reparto, dove uno dei tre infermieri si sarebbe trovato in locali diversi dell’U.T.I.C. e materialmente impossibilitato al controllo dell’apparecchiatura di monitoraggio) comportava la formale scomparsa della funzione di controllo dal piano di lavoro, nonché il sostanziale impedimento della stessa nelle occasioni in cui gli infermieri professionali presenti in U.T.I.C. fossero stati completamente assorbiti dalle incombenze ordinarie e straordinarie del reparto. Veniva, altresì, contestato di aver omesso di vigilare, in occasione della contemporanea installazione del nuovo impianto di monitoraggio Philips, sulla esaustività della formazione del personale addetto al reparto in merito alle modalità di utilizzo delle apparecchiature telemetriche in dotazione all’Unità di Terapia sub-intensiva, nonché sul corretto e sufficiente livello di apprendimento raggiunto da ciascuno con particolare riferimento ai comandi di sospensione/riattivazione degli allarmi sonori e alla loro visualizzazione in video.
Era così accaduto che a un soggetto, ricoverato prima in U.T.I.C. e passato poi in unità sub-intensiva, veniva applicato l’apparecchio telemetrico n. 1 che, a tale momento, aveva gli allarmi sonori sospesi in configurazione “tempo indeterminato” e perché necessitanti di riattivazione manuale, mai avvenuta nonostante la comparsa delle reattive segnalazioni sul monitor centrale; pertanto al momento della crisi di fibrillazione ventricolare che colpiva il paziente – non segnalata dagli allarmi sospesi ma regolarmente segnalata dal monitor centrale peraltro privo di vigilanza trovandosi le due IP e il medico in servizio impegnate in altre due necessarie attività e perciò impedite al controllo dei monitor – il personale non veniva tempestivamente allertato, omettendosi infine l’intervento terapeutico risolutivo della crisi con conseguente exitus del paziente.
Ora, secondo la Cassazione, attesa la separazione delle competenze fra medico e infermiere, non sussiste un obbligo a carico del primario a formare e a verificare le competenze del personale infermieristico. L’infermiere, infatti, non è “ausiliario del medico”, ma “professionista sanitario” e assume responsabilità di tipo omissivo riconducibili ad una specifica posizione di garanzia nei confronti del paziente del tutto autonoma rispetto a quella del medico.” (Cass. pen., Sez. IV, 21 gennaio 2016, n. 2541)