La responsabilità penale dell’operatore del 118

(Cass. pen., Sez. IV, 27 settembre 2016, n. 40036)

A cura dell’avv. Riccardo Salomone – Responsabile del C.T.S.

(Foro di Torino)

 

 

La Corte di appello, riteneva la responsabilità per colpa di D., quale operatore di turno del servizio sanitario di urgenza ed emergenza del 118, in relazione al decesso di P. in quanto, contattato telefonicamente dalla madre di questi, la quale riferiva di una grave e prolungata crisi epilettica del figlio, aveva omesso di attribuire al caso la particolare urgenza riservata al codice rosso, ritardando pertanto l’intervento e, a seguito di nuova sollecitazione della donna, aveva inviato sul luogo dell’intervento una autoambulanza sprovvista di medico rianimatore a bordo, comportamento da cui derivava l’arresto cardio circolatorio del paziente consecutivo a crisi epilettiche. Condannava pertanto D. e il responsabile civile Azienda Ospedaliera in solido al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

La Corte di appello, riconosciuta la posizione di garanzia del D. quale addetto al 118, assumeva che la condotta di questi era stata connotata da grave negligenza in quanto, sulla base della registrazione dei contatti telefonici intervenuti a seguito della richiesta di intervento, in violazione dei protocolli cui doveva uniformarsi il servizio di 118, aveva manifestato l’indisponibilità dell’autoambulanza che copriva il settore di intervento, senza procedere a un triage per sincerarsi dell’urgenza dell’intervento a fronte di una crisi epilettica, mediante l’analisi sullo stato delle condizioni vitali del paziente. Tale omissione non aveva consentito all’operatore di comprendere la criticità della situazione e la possibile evoluzione negativa della crisi epilettica, demandando all’ignoto interlocutore che si era inserito nella conversazione (il vicino di casa) la scelta di attendere o di accompagnare all’ospedale il paziente con mezzi propri; inoltre, a seguito della seconda richiesta di intervento, aveva erroneamente deciso di inviare un’autoambulanza senza medico al seguito, ove il personale paramedico, che pure aveva tentato di prestare cura al paziente, non poteva che constatarne il decesso in mancanza di strumenti di rianimazione.

In chiave causale, riconosceva la ricorrenza del nesso eziologico fra il comportamento dell’operatore e l’exitus laddove, a fronte di paziente a terra sofferente per una crisi epilettica, l’operatore professionale del 118 avrebbe dovuto disporre l’invio immediato di un mezzo di soccorso dopo un approfondimento anamnestico, in ragione del possibile pericolo di vita connesso alla ostruzione delle vie aeree superiori e di pericolo di degenerazione in male epilettico.

Assumeva che il tempestivo invio di un mezzo di soccorso con medico rianimatore a bordo avrebbe consentito, con elevata probabilità logica, il salvataggio del paziente, tenuto conto che lo stesso alla seconda richiesta di intervento era ancora in vita anche se in gravissimo stato degenerativo.

Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato e quella del responsabile civile.

Ad avviso della Suprema Corte di Cassazione, il giudice territoriale ha adeguatamente rappresentato come non potessero rivestire rilievo esimente o di interferenza causale, quantomeno sotto il profilo dell’oltre ogni ragionevole dubbio, i fattori causali alternativi invocati dalle difese. Tali elementi interferenziali erano indicati nello stato clinico generale del paziente, gravato da pregresse patologie cardiache, nell’uso di cannabinoidi, che avrebbero accelerato l’insorgenza del male epilettico causando una condizione di permanenza di crisi epilettiche che aveva determinato lo stato di incoscienza e quindi l’exitus, nel profilo temporale, ove non sarebbe stato possibile affermare, con alta probabilità logica, che un più precoce invio dell’autoambulanza, soprattutto se non dotata di medico al seguito, sarebbe stato in grado di evitare il decorso infausto della patologia in ragione degli strettissimi tempi di intervento.

La questione delle interferenze causali risulta peraltro affrontata dal giudice di appello in termini basilari, osservando che nessuna turbativa causale si sarebbe frapposta, né sotto il profilo cronologico, né sotto il profilo patologico, a fronte della peculiarietà delle condizioni fisiche del paziente, né infine sotto il profilo acceleratorio del male epilettico in presenza del consumo di oppiacei, qualora l’operatore del 118 fosse stato in grado di intercettare alla prima chiamata le esigenze del paziente e inviare un mezzo di soccorso, pure destinato alla copertura di una diversa zona della città.

Il giudice di appello affermava, sulla base dell’orario in cui sarebbe giunta l’ambulanza sul luogo, se inviata a prima richiesta, e di conseguenza in cui si sarebbe realizzato l’intervento di un medico rianimatore (sul posto o anche a seguito di ricovero) che il P. avrebbe ricevuto un soccorso tempestivo (già alle 7.07) tale da impedire l’insorgenza delle complicazioni che ne hanno compromesso le funzioni vitali, con la conseguenza che l’evento morte hic et nunc non si sarebbe verificato.

Appare rilevante, poi, affermare che i profili di prevedibilità dell’evento, che l’approntamento di un comportamento diligente e rispettoso delle regole cautelari che governano il ruolo e i compiti dell’operatore del 118 è teso a preservare, non si arrestano all’evento finale, inteso come accadimento che si presenta nelle sue più minute articolazioni, ma hanno come riferimento un decorso eziologico attraverso il quale sia possibile accertare se l’evento costituisca concretizzazione del rischio dell’inosservanza della regola cautelare; si tratta quindi di porre a confronto il decorso causale che ha originato l’evento concreto conforme al tipo, con la regola di diligenza violata; di controllare se tale evento sia la realizzazione del pericolo in considerazione del quale il comportamento dell’agente è stato qualificato come contrario a diligenza. Infine, di verificare se lo svolgimento causale concreto fosse tra quelli presi in considerazione dalla regola violata.

 

Si osserva che il D. ha omesso di assumere informazioni sullo stato di coscienza del paziente e sulla durata di perdita di conoscenza e della persistenza della crisi, con la conseguenza che egli non ha correttamente valutato la gravità della situazione, omettendo di inviare con urgenza un mezzo di soccorso. Soltanto in un’ottica di contenimento della richiesta di soccorso risulta poi interpretabile la successiva svolta che l’operatore dà alla interlocuzione laddove, pressato da richieste sempre più urgenti di intervento, piuttosto che acquisire ulteriori dati o fornire raccomandazioni, il D. si poneva ad azzardare una prognosi, peraltro fondata sul nulla dei dati acquisiti, anticipando un esito di reversibilità della crisi.

In sostanza, la richiesta di urgente intervento piuttosto che evolvere nella direzione primariamente ipotizzata dal D., che aveva preannunciato l’invio del soccorso e chiesto l’ubicazione del paziente, indicando il verosimile tempo di attesa, veniva successivamente paralizzata, prospettando di attendere che la crisi epilettica evolvesse in positivo e comunque di posticipare iniziative di diverso tenore. Correttamente il giudice ha stigmatizzato la leggerezza, la superficialità e il sostanziale cambio di prospettiva operato dal D. il quale, privo di informazioni specifiche, che non aveva richiesto, aveva rimesso il da farsi agli stessi ignoti interlocutori, senza peraltro fornire specifiche indicazioni cui attenersi, ponendo unilateralmente fine alla comunicazione, lasciando in sospeso la questione centrale, sulle iniziative da intraprendere qualora la crisi epilettica non fosse passata in un tempo ragionevole.

La conclusione volge nel senso di una manchevolezza in capo al D. per la superficialità dell’approccio e per inosservanza dello specifico protocollo da osservrsi nel caso concreto.